Lo Splash Down ricorda la movida sul mare di Anzio. Storia della palafitta che guarda Ponza

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foto di Arianna Gravina

“Là un tempo era bello, quando si ballava…”

La signora bionda, del bar Maraschino, sulla Riviera Zanardelli di Anzio, indica una struttura abbandonata mentre serve un caffè dietro al bancone. É grande, bianca e ormai avvolta dalla ruggine.

La chiamano Splash Down o Ex veleria, nomi che raccontano la lunga storia di un edificio ormai chiuso da una recinzione, per tenere alla larga i curiosi, i fotografi con il fascino per la decadenza e i ragazzini che però ancora si arrampicano su quel tetto pericolante che guarda il mare. Apre i battenti, con il nome di Splash Down, nel 1969 ad opera di Angelo Lombardi “L’amico degli animali”, il primo divulgatore scientifico dell’era televisiva italiana. Quello che dopo essere stato cacciatore di belve in Somalia, aveva portato davanti agli occhi dei telespettatori gli animali di terre esotiche. Chi guardava il suo programma, magari da bambino, ricorda le celebri frasi “Buonasera amici dei miei amici” e il secco comando al suo aiutante di colore “Andalù portalo via” e sotto con un altro esemplare. Lombardi ne fece un posto a metà tra un acquario ed un museo. Erano gli anni splendenti della riviera di Anzio: quando quella a levante era per le seconde case dei romani in vacanza mentre a ponente c’erano i locali, i portodanzesi. Ma la vera custode della storia dello Splash Down è Elisabetta una bella signora bruna che prepara alici marinate e pasta allo scoglio, in un piccolo chiosco incastonato tra i cantieri nautici e le barche del porto. Colma la curiosità di chi non è del posto e esaudisce il desiderio di sentirsi narrare le vicende di quel relitto della terra ferma. “Io là dentro ci ho festeggiato il mio compleanno dei dieci anni”. Mentre parla indica le foto, un po’ sbiadite, attaccate accanto al bancone. Su una c’è anche una freccia e una scritta: “Questo è lo Splash Down”.P1030810

Poi quando quel posto è diventato un locale, si sono avvicendati diversi gestori. Alcuni lavoravano bene, la vista sul Circeo aiutava, ma altri hanno avuto problemi. “C’erano risse in continuazione. Anche una sparatoria mi sembra. E poi chiudevano e riaprivano poco dopo” racconta un signore con una tuta da lavoro e i capelli bianchi, indicato da due ragazzi alle prese con la riparazione della vetroresina di una vecchia barca. Perché è una storia lunga e c’è bisogno di qualcuno che l’abbia avuta sotto gli occhi per tanto tempo. Arrampicata su piloni di cemento ormai avvolti da alghe e crostacei, la struttura attira lo sguardo; alcuni si indignano perché rompe l’orizzonte, altri vi rivedono la vita che l’ha attraversata negli anni d’oro quando la riviera era affollata e con la stagione estiva mettevi da parte denaro sufficiente per tutti l’anno.

P1030801Nel film La Mazzetta del 1978 con Nino Manfredi, insieme ad Ugo Tognazzi, si riconosce l’interno dell’edificio, è un ristorante dove l’attore è alle prese con un enorme piatto di spaghetti al nero di seppia.

“Ci hanno girato tanti film” dice Elisabetta che adesso guarda lo Splash Down con un misto di tristezza e affetto. “Un giorno io e mio marito siamo andati a Follonica, là c’è una struttura molto simile. Siamo rimasti impressionati dalla somiglianza ma soprattutto ci siamo detti che i toscani erano riusciti a far funzionare un posto così particolare: è un hotel -ristorante”. Infatti loro ci hanno mangiato ed anche dormito, sentendosi probabilmente un po’ a casa.

Guardando bene tra l’intonaco scrostato e i rimasugli di infissi si legge ancora una scritta fatta alla bell’e meglio con un nastro: “Veleria e tappezzeria”. Quando l’edificio ha chiuso la parentesi con la movida da spiaggia, è stato adibito a laboratorio per le vele. Chi ci viveva però non pagava nessun affitto; aveva occupato abusivamente una casa che è il sogno d’ogni romantico. Con la famiglia aveva sistemato l’ala dell’edificio più vicina alla terraferma. E lì faceva il suo mestiere: il velaio. C’è chi dice che ci abbia abitato più di venti anni, chi non conserva un buon ricordo e preferisce non parlarne. E chi con una certa distanza afferma “Ah ma era campano non era di Anzio”.

Poi lo sgombero e un’indennità enorme da pagare e la veleria ha chiuso i battenti per sempre. Tra i forum di surfisti c’è ancora chi consiglia di portare le vele a riparare da Dino. “Sta proprio sul porto, la vedi subito perché è l’unica costruzione sull’acqua” si legge in un post un po’ datato.

Dopo lo sgombero la Regione ha recintato l’area, la Capitaneria di Porto ha emesso un’ordinanza che vieta la navigazione nelle acque circostanti. Ma l’ex veleria rimane lì. Indigna ma allo stesso tempo affascina. Forse Elisabetta ogni tanto ha fantasticato di spostare il suo chiosco tra quelle mura e farne un grande ristorante. Qualcun altro avrà pensato che sarebbe il posto perfetto per una scuola di vela su piccoli scafi, con quel vento che ad Anzio non manca mai.

Ma la salsedine e il tempo hanno reso l’immobile praticamente irrecuperabile. “Prima o poi dovranno demolire ma per il momento non ci sono i soldi” spiega Elisabetta. Così l’ex veleria aspetta. Ospita le scritte colorate dei writer o qualche audace “ti amo” scritto con la bomboletta. E guarda l’orizzonte, come la signora del Maraschino che facendo due conti con l’età potrebbe esserne la sorella maggiore. Entrambe guardano ad ovest dove ci sono Ponza e Palmarola, due isole dove nessuna delle due è mai stata e che si vedono solo nelle giornate di brutto tempo.

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Articolo pubblicato su http://quotidiano.repubblica.it/rsera

E’ il secondo articolo di una serie dedicata ai luoghi abbandonati che uscirà ogni giovedi su Rsera: il primo Archeologi delle rovine, i prossimi sull’ex manicomio di Collegno e le saline di Tarquinia

 

 

 

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